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Vues et vécus en Algérie et ailleurs. Forum où au cours des jours et du temps j'essaierai de donner quelque chose de moi en quelques mots qui, j'espère, seront modestes, justes et élégants dans la mesure du possible. Bienvenue donc à qui accède à cet espace et bienvenue à ses commentaires. Abdelmalek SMARI

Dissezione di un testo – o del mio romanzo “L'occidentalista” - 3 -

 

 

La poesia non è solo rime e armonia dei ritmi e di sonorità ma è ogni discorso dignitoso, giusto, solidale, sincero, fatto di amore, di indulgenza, di lucidità, d’impegno…

Ma serve la poesia?

Sì e come!

Essa è come un laboratorio dove si sperimentano nuove prospettive per il futuro e nuovi modi di dire, di sentire, di agire e di riflettere prima, durante e dopo tutto questo ethos per trovare un modo di adeguare e far adottare queste scoperte alla vita quotidiana per stimolarla, scuoterla e risvegliarla dal torpore della noia, per rinnovarla, iniettandole gioia e dolcezza, nostalgia e speranza, senso e sensibilità.

La poesia forse non serve per chi vuol fare i soldi, ma serve sicuramente a insegnarci come creare la vita, perché i destini sono sempre inediti cioè sempre e necessariamente creati. La poesia ci permette di anticiparli anche per farne dei migliori destini.

La poesia è anticipare la vita che non c'è ancora; è afferrare quella che si svanisce o tende a scomparire; è evocare ciò che già non c’è più … così essa crea il tempo.

Ah, il tempo, la bella e crudele illusione dove l'essere può avere una storia, una distesa e della sensazione di vivere un’esistenza dilatata con tanto di senso di volontà, ma che è anche precaria e inesorabilmente evanescente...

Creare il tempo è stata una grandissima rivoluzione umana, prima e più grande ancora di quella del fuoco o dell'agricoltura. È stata una rivoluzione sine (alcun'altra rivoluzione) non.

Dopo la sessualità, l'uomo si annoiò e tra altre cose creò il tempo. Tempo che gli permetterà d'estrapolarsi dall'anonimato e dalla confusione simbiotica per uscire verso la luce dell'esistenza, dell'autocreazione. Il tempo permette uno spasso negli eventi in corso o quelli compiuti o quelli appena sfiorati dalla nostra immaginazione.

Creare il tempo è creare l'umanità dell'uomo strappandolo dalla confusione, dalla non coscienza, dalla piatta esistenza animale.
La poesia è tutto questo ed è anche questa fantasia di cui parla Bartolo Cattafi:
fantasia è estrarre dal contesto
la figura più piatta
aspettare che pian piano alzi la cresta.

La poesia, per parafrasare ancora Bartolo Cattafi
comunque è fatt(a) come la lava e il mare
di elementi che esistono in natura.

La nostra quotidianità e la nostra sensibilità sono la materia prima della nostra arte e della nostra poesia. Oggigiorno è un po’ difficile ignorare la presenza degli immigrati a Milano. questa presenza irruente non può non invadere l’universo della scrittura dove lo sfondo e la cornice è Milano.

Ma non per questo dobbiamo chiamare uno scritto di questo tipo un testo sull'immigrato o l'immigrazione. Questa non può costituire un genere letterario; sarebbe assurdo come è assurdo dire che esiste un genere letterario dei fumatori, un altro di quelli che vanno in piscina, un altro di quelli che hanno gli occhi verdi, un altro di chi ha cinque fratelli ecc…!

La letteratura è letteratura.

Da questo punto di vista il mio è un romanzo che cerca di afferrare il destino di una persona alle prese con i propri desideri e la repressione/oppressione del numero e del gruppo. E poi l’immigrato non è uno sfollato di guerre e di miseria, ma è mosso solamente dal lusso di proteggere la propria libertà, trovarle un altro spazio dove può realizzarsi man mano che essa cresce; e cresce sicuramente e con essa il senso di libertà nell’uomo.

Quest’uomo si rende poi subito conto che nemmeno quel nuovo spazio gli sia sufficiente e va avanti così alla conquista di altri spazi, persino quelli virtuali, purché gli permettano di sentirsi appagato di tanto in tanto.

Quest’uomo sarà sempre in una specie di territori degli altri. È a casa sua? Tende a essere altrove. È altrove? Tende a essere a casa sua.

Così, egli è sempre altrove e, quando visita l'uno o gli altri territori, non può non portare con sé dei regali di senso e di poesia. In due parole: è un esiliato attivo.

Assomiglia a un elettrone libero o, meglio, a uno spermatozoo temerario e generoso che piega le distanze immani e sfida le fatiche del perpetuo viaggio e dell'agitazione che lo percuote ininterrottamente per portare il seme di una nuova vita, di una nuova speranza, in una terra spesso acida, ostile ma sempre e necessariamente assetata, accogliente.
Questo uomo vive un perpetuo balletto di scambi in cui, chi dà riceve interesse e principale e si trova così ancor più ricco e arricchito.

Basta solo consultare i grandi movimenti delle persone celebri (Didone di Cartagine, Abderrahman il fondatore della dinastia omeiyade in Spagna) e dei popoli attraverso la storia. Spostarsi è la metafora stessa della vita.
Non dico che l'esilio non possa essere un tema di predilezione per la poesia; può esserlo dignitosamente, ma solo quando esso è voluto, cioè quando esso è frutto di libertà e di scelta lucida e premeditata.
La lingua anch'essa è un tabù che lo scrittore sfida, questa sfida si rivela più acutamente quando si ha a che fare con la lingua degli altri, ma sottile in quella madre. Personalmente, a volte uso una data parola, la stessa, in delle situazioni diverse per vedere quali e quanti significati può portare. Ciò facendo, intendo sollecitare la lingua ma ho sempre paura di sgualcirla. Tuttavia devo usarla, conoscerla, superarla, necessariamente contaminarla se devo arricchirla.

Se faccio questa dissezione al corpo del mio romanzo è che so che l'entità dell'opera è ormai corpo costituito, autonomo, intero e con un’identità sua, propria.

24-02-09 per la Biblioteca La Claudiana    

 

Abdelmalek Smari

 

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