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Vues et vécus en Algérie et ailleurs. Forum où au cours des jours et du temps j'essaierai de donner quelque chose de moi en quelques mots qui, j'espère, seront modestes, justes et élégants dans la mesure du possible. Bienvenue donc à qui accède à cet espace et bienvenue à ses commentaires. Abdelmalek SMARI

Dissezione di un testo – o de “L'occidentalista” - 1 -

 

La scrittura di questo romanzo è stata per me una specie di sfida. D’altronde cos'è la vita se non è la sfida alla morte, questa bestia cieca che passa e ripassa in un campo prezioso per falciarne indifferentemente le vecchie radici e anche i teneri germogli?

Infatti importa poco a questa bestia se le sue vittime sono di tenera età o già stanche ma che si aggrappano ancora alla vita e ai colori dei vivaci tramonti.
Cerchiamo di sfidare la morte, non solo quella fisica ma anche quella morale, quando le forze del nichilismo e della disperazione ci assalgono da ogni parte e il loro veleno ci trapassa l'anima da parte a parte ad ogni istante; quando sono pane quotidiano nostro l'ingiustizia, la miseria, l'ignoranza, la mediocrità, l'odio, le guerre, l'oppressione del gruppo e del numero, lo spietato passar delle ore e dei giorni... L'arte è una forma di resistenza e di sfida a questa morte multiforme.
Scrivere "L'occidentalista" è stata per me un'avventura piena di sfide che ho superato con fatica, dubbi ed estrema ginnastica mentale per evitare di cadere nella trappola dei luoghi comuni e ripetere gli stessi cliché che mi ero accinto a combattere.
L'ho fatto con pazienza, speranza e costanza tali che - ad atto compiuto - apparivo come un cavaliere pietoso e patetico. Allora mi sono fermato a considerare l'opera nella sua integralità e mi sono messo a ridere. L'ironia è la nostra patetica reazione quando l'esistenza non riesce più a convincerci della sua decenza e del suo senso.
L'ironia è la prima reazione difensiva di fronte all'angoscia che l’estraneità della novità innesca in noi. Un esempio che trovo eclatante e molto originale è ciò che ho chiamato il “foulard di Nabokov”. Questo autore usa un’espressione che non lascia indifferente: descrivendo il movimento di un foulard  nel collo di un personaggio che sbandiera al vento, lo paragona alla coda di un cane che prima del padrone riconosce l’amico!

Essa, l’ironia, consiste nell'assembrare i contrari facendo svaporare lo scandalo in bollicine d'indulgenza e quindi di piacevoli sorrisi.
Così, alla luce di questa scoperta, ho stanato un aspetto ludico dell'atto di scrivere e di colpo ogni particolare delle vicende divenne leggero, ironico. Con l'ironia si uccide il patetico e la noia.

Ma la prima di tutte le sfide fu quella di non disperare davanti alla sentenza di chi detiene per un momento il tuo destino.

L'antenato de "L'occidentalista" era una piccola raccolta di brevi racconti che avevo riunito sotto il titolo "I ragazzi dell'Atlantide". Forte dell'esperienza e del non-indifferente successo di “Fiamme in paradiso” ed essendo legato con un contratto al suo editore “il Saggiatore”, ho pensato di pubblicarle.

E così avevo proposto a questa casa editrice la cosiddetta raccolta che subito essa rifiutò, col motivo che il pubblico preferisse un romanzo che un mosaico di storielle poco serie, a meno che esse vengano da qualche fonte sicura e conosciuta, voce già messa alla prova… del successo.

Rinunciai allora alla mia impresa.

E meno male, perché in quel caso sarei andato avanti accontentandomi di poco. Le difficoltà non sono sempre tutto-ostacolo; anzi sono spesso degli stimoli preziosi che ci portano a perseverare e a perfezionare le nostre opere.
Allora decisi di trasformare la raccolta in un romanzo. Ovviamente, tra essa e la versione finale c'è un abisso di differenze.

È stato una specie di lavoro faraonico: l'unificazione del territorio, finora spezzettato, di quel mosaico di brevi racconti, della gente disparata che li popolava, della lingua, del destino, del senso di vita che aggregavano questa gente.

Ora quella gente è omogenea, coesa, solidale, dispone di un territorio, di una bandiera, di una lingua comune; gestita da una unica amministrazione, osserva la stessa religione e gli stessi canoni morali; ubbidisce ad un unico faraone, adora un unico dio.
Non era il caso di andare a cercare un romanzo buttando via il frutto di mesi di lavoro, di fatiche e di speranze.

Poiché poi quei racconti erano scritti più o meno nello stesso periodo e quindi richiesti da più o meno le stesse esigenze e lo stesso stato d'animo, ho pensato allora che già in sé e così come erano essi possedevano una specie di unità organica tra di loro.
Adesso che ci penso, mentre li scrivevo, notai che un racconto attirava l'altro. La spiegazione ne è che alla fine del racconto mi accorgevo che avevo ancora delle cose da dire. Mettevo quindi in cantiere uno nuovo e così nacque la raccolta. Quando giunse il momento di romanzarli, mi sono trovato di fronte a un progetto papabile di romanzo che avevo arricchito di seguito.
Unità organica e coerenza non significano affatto monolitismo. Il romanzo è ricco di spunti e di interrogativi sulla umana sorte. È un tentativo d'esplorare la natura dell'uomo che è la stessa anche se essa si nasconde sotto le vesti della ricchezza materiale o della povertà, dello snobismo o della modestia, dell’intelligenza o della menzogna, della mistificazione o dell’alienazione, dell’impegno o dell’indifferenza, dell’angoscia e delle paure o della gioia, del dolore o della salute, della giovinezza o dell’età matura, degli uomini verdi come dice Edmond Morris o degli angeli…
Perché l'uomo oscilla tra gli splendori dell'intelligenza e della poesia da una parte e dall’altra parte le infinite miserie della mediocrità intellettuale, della disperazione, dell'alienazione e della crudeltà.

E non è per questo che egli sia buono o cattivo. Lui è e riflette ciò che è.
 

Abdelmalek Smari

 

 

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