Vues et vécus en Algérie et ailleurs. Forum où au cours des jours et du temps j'essaierai de donner quelque chose de moi en quelques mots qui, j'espère, seront modestes, justes et élégants dans la mesure du possible. Bienvenue donc à qui accède à cet espace et bienvenue à ses commentaires. Abdelmalek SMARI
L’alfabeto, la pittura e il canto sono stati di grande interesse per me e mi hanno marcato e indirizzato verso vocazioni e hobby che avevo desiderato o svolto e realizzato durante la mia vita futura. Infatti, per un lungo tempo avevo contemplato lo scritto (prima la lettura poi la scrittura), la musica che mi emozionava sempre alle lacrime e il disegno.
Tuttavia, di questi tre progetti di vita, è stato lo scritto (l’Alef come l’aveva chiamato Borges) a prendere il sopravvento. Già dall’inizio della scuola elementare, appena avevo capito che ero in grado di leggere, capire e gioire delle poesiole e dei primi racconti, cominciai a devorare ogni scritto che trovavo a mia disposizione: libri scolastici, s’intende, perché non avevo a casa una biblioteca e non sapevo nemmeno che cosa fosse.
Mi ricordo che a undici anni avevo comprato un romanzo in francese. Non che avevo soldi, ma non so come mi erano capitati nelle mani 50 centesimi – che erano una fortuna per me. Un altro ragazzo della mia età, in quell’epoca, li avrebbe spesi in gelato, ghiaccioli o caramelli. Invece io fui più felice di avere in mano quel libro, anche se era in una lingua di cui avevo appena cominciato a decifrare l’alfabeto, anche se sapevo che non sarei stato in grado di leggerne neanche un paragrafo! Nondimeno quel romanzo fu il primo libro - oltre ai miei quaderni e libri di testo scolastici e tre o quattro vecchi biblos religiosi in pelle di mio padre - a fondare la mia futura biblioteca.
Questa biblioteca consisteva in una scatola di cartone che sistemavo sotto il letto. Prima era ben gradita dalla mia mamma; poi man mano cominciò a darle fastidio. Mi ripeteva: Che cosa fai di tutta questa roba ammassa - polvere? Ed io dovevo difendere quel mio tesoro crescente e sempre più ingombrante.
Mi mancava uno scaffale e mi mancava pure una scrivania. Tuttavia, l’idea di averne una non mi veniva in mente e non potevo nemmeno immaginarne la necessità. Solo più tardi, mi capitò di vedere a casa di un nostro lontano parente, nuovamente acquisito, un bel tavolo collocato all’angolo di una bella stanza con, sopra, una decina dei libri ben ordinati e altri quaderni e materiale di cancelleria.
Mi passò allora per la mente l’idea di sistemare nello stesso modo la mia nascente libreria che giaceva ancora in scatole di cartone. Ma l’unico tavolo che possedevamo serviva per i sacchi di semola e di couscous e altra pasta secca, come si usava nella maggior parte delle famiglie algerine in quell’epoca. Ciononostante, volevo quel tavolo per me, per la mia libreria.
Il desiderio fu così grande e intenso che una notte feci un sogno in cui c’era un diluvio - uno tsunami, diremmo oggi - che stava per immergere tutto il nostro paesino. Fui terrorizzato ovviamente, ma ebbi la presenza di mente di pensare al tavolo. Con la magia del sogno, lo capovolsi e trasformandomelo in una barca di salvataggio.
Posso dire, col senno di poi, che nel più profondo di me stesso sentivo – già a quell’epoca! - che l’ignoranza è un pericolo mortale dilagante e che la cultura, raffigurata dal tavolo dei libri, quindi i libri, era il vero rimedio efficace.
Più gli anni passavano più diventavo un fanatico della lettura. Non so se ero un grande lettore perché ero di natura riservato o fu la lettura che aveva fatto di me un anima riservata. Ero riservato dunque ma non autistico, e il tempo per leggere c’era e avanzava.
Ovviamente anch’io ero attratto dai giochi e dal far-niente come il resto dei miei compagni, ma per qualche miracolo - nessuno mi aveva insegnato che la lettura fu una bella abitudine - io imparai a dividere il mio tempo tra l’utile e il dilettante.
Man mano che diventavo grandino la proporzione del tempo che dedicavo alla lettura cresceva. Quest’abitudine cominciò a preoccupare la mia mamma che aveva paura che io diventassi pazzo a forza di leggere, come si credeva allora nel nostro paesino.
Non era solo lei che mi vedeva un po’ strano: c’era anche un mio compagno di scuola che mi aveva schernito un giorno quando mi aveva visto leggere sull’autobus!
Un altro vicino, più grande di me, avendomi visto leggere un giornale francese, mi aveva tacciato da arrivista: “È un asino sulla terrazza” disse a un suo amico, ridendo di me.
Ma io in mezzo a quest’ambiente molto ostile alla lettura seppi resistere. Anzi, diventavo ancora più vorace. Ironia della sorte, quella frase insultante l’avevo usata più tardi come titolo a un mio racconto, pubblicato nell’antologia “La lingua strappata”.
L’unica pecca è che la mia lettura era selvaggia: non ero metodico e non avevo nessuno che potesse insegnarmi un modo intelligente per una lettura razionale. Ma il mio istinto mi diceva che tutto mi poteva tornare prima o poi utile.
Un giorno un signore mi aveva chiesto – scandalizzato – perché leggevo “questo libro” (era Les Confessions di Rousseau). Non era colto questo signore e nemmeno apposto di mente, ma gli risposi lo stesso in un modo sofisticato. “Guarda, gli dissi, il libro è come questo fiume - eravamo sulla sponda del fiumicino che attraversa Hamma dove passavo i miei pomeriggi liberi a leggere fino al crepuscolo -, può a volte essere torbido, ma un pescatore può sempre pigliare qualche pesce.”
Fu una risposta più per me che per quel signore che, del resto non mi aveva creduto, forse non mi aveva capito nemmeno.
Anni più tardi avevo sentito un amico che diceva di me – prima che ci avessimo conosciuti e diventati amici – quello che corre e legge. Devo dire che fu una perfetta definizione del ragazzo che ero e al tempo stesso fu il più bel complimento che ebbi avuto durante la mia vita.
La lettura ha sviluppato in me un amore speciale per la lingua. Non ero bravo in matematica, ma tutto il mio genio si era riversato sulla conoscenza del vocabolario e più tardi della grammatica. Stupivo non solo i miei compagni ma anche gli insegnanti, quando riuscivo a rispondere alle domande più difficile sul significato di una parola o la posizione grammaticale di un’altra.
Ma non avevo ancora cominciato a scrivere, se escludo i compiti scolastici che svolgevo brillantemente ma non straordinariamente.
Tuttavia quel momento non tardò ad arrivare: mi ricordo che un maestro ci aveva dato come compito per le vacanze d’inverno – eravamo ancora alle elementari – di tenere un diario. Forse ero l’unico ad aver adempiuto quel compito. Al rientro dalle vacanze, corsi a presentarlo al maestro. Purtroppo lui non mostrò nessun entusiasmo; anzi, sembra essersi dimenticato della faccenda o che essa non gli interessasse più.
Quanto a me, nonostante la delusione, non mi ero pentito di tale sforzo inutile. Dentro di me ero contento di aver fatto un tale compito. Ma il colpo da maestro avvenne tre anni più tardi, in seconda media. Il prof ci aveva dato da scrivere un tema sulla correttezza morale e l’impegno personale (salah e islah). Ci avevo impiegato tre ore per scrivere più o meno due pagine. Era un tempo enorme speso per un compitino che avrebbe dovuto durare in media al massimo mezz’oretta. Fatto sta è che il maestro fu stupefatto dalla mia performance. Incredule, mi aveva chiesto per tre volte se fossi stato io a scriverlo! Non solo non mi ha dato un voto ma se lo era tenuto per sé. Ciò che mi fece pensare che era un capolavoro tout court.
Quel che mi rese ancora più orgoglioso del mio exploit fu il fatto che quel maestro era egli stesso un poeta e scrittore: aveva tradotto – e ce l’ha letto anche, durante le feste di fine anno – un testo teatrale di Victor Hugo. Inutile dire che io ero solamente aux anges… contento e fiero di me.
Da quel momento, i temi che facevo erano sempre delle piccole opere d’arte. La voglia di scrivere cose extra-scolastiche mi prudeva, ma solo dopo la laurea, mi ci misi in un modo prima timido, poi man mano frenetico…
Mi ricordo della situazione in cui prese la decisione di mettermi a scrivere: era una notte con un chiarore di luna che era riuscito a vincere alcune nuvole che gli ostruivano la brama d’estendersi sulla terra, di rivelare il suo splendore e, come me, di dire ciò che gli anni di vita, di contemplazione e di studio avevano accumulato. Questo cumulo di senso e di sensibilità cominciarono quindi a traboccare.
Infatti, volevo mettere nero su bianco idee e impressioni di cui il mio petto o la mia testa erano colmi.
Era giunto il momento di interrogare il mondo e di ascoltare le sue risposte.
Era giunto il momento di mettere un po’ di ordine in quella giungla di idee e di impressioni cresciuta alla rinfusa nel mio animo. Una giungla che brulicava di vita e che m’incuriosiva conoscerla.
Era giunto il momento di mettere davanti ai miei occhi e davanti a quelli del mondo che mi ospita e mi circonda queste idee e impressioni per veder chiaro il mondo, le cose del mondo e me stesso.
Se mi ricordo della decisione di scrivere, non mi ricordo dei primi scritti. Forse avevo cominciato con qualche frase che non tardava a diventare una specie di poesiola o di breve racconto, brevissimo. Comunque, non li ho conservati.
Abdelmalek Smari
(*) Lettera a un dottorando con elementi biografici per una tesi sul mio romanzo “La trottola” - Edizioni Selecta, 2019