Vues et vécus en Algérie et ailleurs. Forum où au cours des jours et du temps j'essaierai de donner quelque chose de moi en quelques mots qui, j'espère, seront modestes, justes et élégants dans la mesure du possible. Bienvenue donc à qui accède à cet espace et bienvenue à ses commentaires. Abdelmalek SMARI
"Ante mortem ne laudes hominem quemquam" Bibbia
Ma cos'ha detto Remo nel suo “bellissimo discorso”?
Nella sua introduzione al suo tratteggiare quattro scrittori (noi tre più Gabriella Cartago Scattaglia), Remo ha definito quattro fasi nell'evoluzione dello scrittore straniero che scrive in italiano.
Il primo carattere considerato (Gabriella Cartago) non c'entra con questa evoluzione, perché si tratta di una studiosa italiana che, lei, ha l'italiano come lingua ereditata, contrariamente agli altri tre che, loro, hanno la lingua italiana per acquisizione tardiva (guadagnata, certamente, dopo una “faticosa strada” appunto, al prezzo d'immani sforzi).
Queste fasi sono disposte come segue: all'inizio lo straniero vuole essere capito. In una seconda fase, vuole essere conosciuto. Poi nella terza fase tende ad essere riconosciuto. Infine, egli lotta per farsi un proprio nome, un label o uno trend… purché non si rimanga soggetto all'etichettatura dominatrice o paternalistica “migrante, italofono, nascente, diasporico…” del padrone di questa “casa-lingua”.
Devo dire che, riflettendo sul mio percorso personale sul cammino dell'apprendimento della lingua italiana e su quello dello scrivere, sento che avevo vissuto queste tre fasi e che, adesso, sono alla quarta fase.
Il fatto di essere arrivato a contestare il label di “Letteratura della migrazione”, già fin dagli ultimi anni '90, mi aveva buttato di sana pianta nella quarta fasi…
Nel mio caso, queste fasi non sono andate nell'ordine concepito da Remo, ma a volte si accavallavano le une con le altre.
Penso che le persone che hanno un'altra lingua di scrittura - accanto alla loro lingua madre - sentano la stessa fluttuazione nell'ordine di queste fasi: per il semplice fatto che in materia di scrittura (e delle sue problematiche) loro non sono del tutto a digiuno: hanno la lingua madre come supporto e come “introduttrice” o facilitatrice.
Nei momenti di euforia, mi sentivo abbastanza capace di volare con le mie proprie ali. Pensavo di poter fare a meno della mano del “duca” casa-lingua... Poi, a questi momenti d'euforia, seguivano momenti di dubbi, di realismo o di umiltà, e allora scoprivo che la “mia” lingua italiana era ancora novizia e precaria e che solo l'autoctono mi potrebbe aiutare ad esplorarne i meandri, a farli miei e a costruirne una archeologia, cioè: a dare ancora più profondità ai sensi delle parole di questa lingua e, quindi, più profondità all'intelligenza dell'anima italiana con cui mi relaziono.
Tutte le fasi sono difficili, ovviamente, ma una sola fase sembra quasi irraggiungibile o, meglio, insuperabile: la quarta!
A mio parere, questa fase è così estrema per due motivi fondamentali, gravi:
1 - il mercato della qualità: per stare solo alla Scrittura, nel nostro mondo globalizzato, esiste un oceano di opere di alta qualità che ogni giorno ci porta maree di nuove opere. Opere che possono permettersi solo gli scrittori che hanno una certa genialità artistica o poteristica (finanziaria o mediatica) o entrambi di emergere, di farsi un nome.
2 – Un altro motivo è: toccare alla quarta fase è toccare a un vero e proprio potere. Infatti, finché uno cerca solo di farsi conoscere, quindi di non mettere in discussione il potere di nessun ente o di nessuna lobby, i detentori di potere lo guardano come un passante guarda un palo.
Ma con la quarta fase (che significa non più essere un palo sul bordo della strada, ma una realtà che pretende uno spazio tutto per sé sulla strada stessa), i “potentati” si sentono minacciati e soprattutto sentono che il loro potere viene come sgretolato e il loro spazio di libertà ristretto.
Questo tipo di disagio suscita delle reazioni durissime (e Remo ne ha elencate alcune: “letteratura post-coloniale, minore, di seconda generazione...”), da cui rari sono quelli che ne escono indenni. Basti pensare alla vessazione che uno scrittore dello spessore di un Amin Malouf, membro de l'Académie française per giunta, subì quando i guardiani del tempio dell'immacolata e l'immacolabile letteratura francese lo hanno trattato non da scrittore tout court, ma da scrittore della francofonia ! Val a dire: intendevano escluderlo dall'essere uno scrittore-e-basta.
Quindi la quarta fase, che Remo non ha dimenticato di segnalare come fase critica molto sensibile e quasi insuperabile, significa che la battaglia dello scrittore continua e, questa volta, sarà portata su due fronti: da una parte il lavoro sulla qualità dell'opera (stile, lingua, forma e senso). Dall'altra lavorare per trovarle un posto al mondo, un posto dove il pubblico – che ne ha tutti i diritti – viene ad ammirarla.
3- C'è un terzo motivo?
Certo, lo dice Remo stesso quando parla della lingua/letteratura come un patrimonio “patrimonio identitario, come luogo che conserva le tracce di un passato, in cui una collettività ha definito nel tempo valori e comportamenti da tramandare alle nuove generazioni e da confrontare con quelli di altre culture.
Tale capitale, in buona parte custodito dalla letteratura, va difeso dagli eredi della casa-lingua, da chi - fra gli estranei “intrusi” - voglia profanarlo, impossessandosene, banalizzandolo o semplificandolo.”
Questo “intesorimento” della lingua, rende gli autoctoni molto gelosi e esigenti, e lo straniero molto osservato, inquisito quasi, sospetto e soggetto a biasimi, a limiti rossi, a scherni, a ricatti vari.
Così, egli vedrà la sua libertà molto ristretta, e ciò, spesso, lo inibisce e rischia di mantenerlo in eterna dipendenza!
Gli scrittori in un'altra lingua – ma a volte anche quelli che la usano par esprimersi! - fanno questo tipo di esperienze sulla propria pelle, con gli amici stessi autoctoni, con il pubblico e soprattutto con le case editrici.
Grazie tante, caro Remo.
Abdelmalek Smari